mercoledì 4 marzo 2009

Volo pindarico......

“Non aver paura, anche se non ci conosci, sappi che non vogliamo farti del male.”
“Sì, ma dove siete?! Non riesco a vedere niente.”
Una forte luce, densa, mi impediva di vedere…eppure non avevo alcuna paura, ero tranquilla, rilassata, in balia forse di un sogno realizzato. Ad un tratto il pavimento della terrazza scomparve, la mia casa, i giardini, le altre case non c’erano più. Non provavo alcuna sensazione, mi sentivo leggera e riuscivo ad ascoltare il battito del mio cuore leggermente emozionato, nel silenzio profondo della notte.
“Dove mi trovo?” chiesi, per lo più a me stessa, per spezzare quel silenzio che stava per diventare tetro. La risposta mi sorprese profondamente.
“Fuori dal tempo e dallo spazio, nell’eterno dove tutto è.”
“Eterno…non ho mai pensato a cosa fosse l’eterno, forse non ho nemmeno creduto veramente in un eterno.”
“Sì, anche per gli altri è stato così.”
“Altri?! Volete dire che altri uomini hanno avuto la mia stessa fortuna di conoscere l’eterno.”
“Sì, è così.”
“E perché nessuno ne ha mai parlato?”
“Te ne accorgerai.”
“Ma voi chi siete? Da dove venite?”
“Non ha nessuna importanza chi siamo e da dove veniamo l’importante è che tu stai viaggiando nel tempo. Hai a tua disposizione tutto il passato. Scegli un personaggio, un’epoca che ti piacerebbe conoscere.”
“Chiunque?”
“Sì, chiunque.”
“Incontrando le persone giuste forse potrei scongiurare disastri, magari addirittura evitare guerre e risolvere i più grandi misteri della storia.”
“Non puoi correggere la storia, puoi solo conoscerla, viverla.”
“Certo, avrei dovuto saperlo. Scusatemi, mi dispiace di essermi fatta prendere dall’entusiasmo.”
“ Non ti devi scusare, purtroppo è proprio dell’uomo, cercare di correggere i suoi errori una volta commessi, ma non fare nulla prima di evitarli.”
“Non è molto consolante ma come si dice : Mal comune mezzo gaudio. Ho la possibilità quindi di poter conoscere uomini illustri dei secoli precedenti?”
“Sì. Vuoi conoscere qualcuno in particolare?”
“Credo di non avere dubbi: rotta sul 1656, capitano, voglio conoscere Mounsieur Blaise Pascal.”
“Ottima idea.”
Fu l’ultima cosa che disse la voce amica e poi…il buio.Quando riapparve la luce eravamo davanti casa di Blaise Pascal. Era il 24 gennaio del 1656, la voce mi disse che avevo soltanto 4 ore di tempo dopo le quali avrei dovuto farmi trovare lì o mi avrebbero lasciato per sempre nel 1656.
Poi il silenzio, non che non ci fossi abituata.
Con il cuore in gola, presi il coraggio a due mani e mi avvicinai al portone di casa Pascal ma prima guardai istintivamente l’orologio. Sia per regolarmi sul tempo a mia disposizione, sia per vedere se era un orario adatto ad una visita. Ma il mio orologio non dava segni di vita, le lancette giravano all’impazzata: il viaggio doveva avere avuto un brutto effetto su i suoi ingranaggi.
Allora fermai un passante decisissima a voler sapere che ora era. Ma questi alla mia gentile richiesta, spaventatissimo, si allontanò da me urlando:
“ Mon dieu, mon dieu, les invasione barbares.”
Io non conosco il francese ma non mi ci volle molto a capire che mi aveva preso per un’incivile.
Ormai era andata! Dovevo bussare, qualsiasi ora fosse. Bussai mi venne ad aprire un uomo sulla quarantina, in livrea capii subito che doveva trattarsi del maggiordomo. Sperando che non si facesse prendere dal panico anche lui, vedendomi, dissi nel mio migliore francese :” Je cherche mounsieur Blaise Pascal.”
Mi rispose : “Suivre moi.” Aggiungendo a queste parole una smorfia di disprezzo. Era abbastanza chiaro che nella Francia del seicento non era molto apprezzato il mio modo di vestire!
Mi portò in una grande stanza, arredata con buon gusto, luminosa con un grande caminetto acceso e sul caminetto un grosso orologio, doveva essere del ‘500 o giù di lì, comunque l’importante era che segnasse l’ora e segnava esattamente le 4 del pomeriggio. Stavo guardandomi un po’ in giro ammirando la stanza, quando fui interrotta da una voce maschile, abbastanza giovanile forse sulla trentina che mi disse:
“Bonsiour madamoiselle.”
“Buonasera.” Risposi ormai quasi rassegnata al fatto che non mi capisse ed invece con mia grande sorpresa.
“Lei è italiana?” chiese in una perfetta pronuncia italiana.
“Sì e non immagina quanto sia contenta che anche lei lo parli.”
“Purtroppo, io conosco l’italiano.”
“Purtroppo? Vecchi rancori o devo prenderla come un’offesa personale.”
“Mi dica lei non sarà per caso una giornalista?”
“In erba.”
“E quindi decisissima a sapere tutto di me.”
“Come mi si può biasimare se voglio conoscere tutto di un uomo del suo ingegno. E poi la curiosità è la molla del sapere.”
“Ma stia attenta signorina, la curiosità a volte si riduce a vanità. Il più delle volte si vuole sapere solo per parlarne. Non si viaggerebbe per mare per non dirne nulla e per il sole piacere di vedere, senza speranza di raccontare un giorno e così è per tutte le altre cose.”
“Non crede però che la vanità, la voglia di essere sempre migliori possa aiutare l’uomo ed il mondo a migliorarsi veramente?”
“Noi non ci accontentiamo della vita che abbiamo in noi e nel nostro proprio essere: vogliamo vivere nel pensiero degli altri di una vita immaginaria, e per questo ci sforziamo di apparire e non di essere. Noi lavoriamo senza posa per abbellire e conservare il nostro essere immaginario e trascuriamo quello reale. E se abbiamo o serenità, o generosità,o fedeltà, subito ci affrettiamo a farlo sapere, per aggiungere queste virtù anche al nostro essere immaginario, e pur di aggiungerlo a questo lo toglieremmo piuttosto al nostro essere reale; noi accetteremmo di buon grado di essere vigliacchi purché ce ne venisse fama di essere valorosi. Chiaro segno della nostra nullità, non essere mai soddisfatti del nostro essere reale senza quello immaginario, e scambiare anzi spesso l’uno con l’altro! Come vede l’uomo, purtroppo,non riesce a leggere nella vanità la possibilità di migliorare il suo essere ma soltanto il suo apparire.”
“Lei crede, quindi, che l’uomo sia troppo impegnato a specchiarsi nell’acqua di un ruscello, anche se assetato, per poter capire di poterla bere.”
“Esatto! Se l’uomo cominciasse dallo studiare se stesso piuttosto che la sua immagine forse si avrebbe qualche risultato. Purtroppo l’uomo non avendo potuto risolvere i suoi problemi con il solo schioccare delle dita, ha pensato bene, per rendersi felice,di non pensarci e non si cura di niente se non del suo divertissement.”
“Parla del divertissement per quanto sono riuscita a capire come una fuga da se stesso, una fuga dall’essere per divenire pura forma. Per limitarsi ad esistere.”
“Gli uomini, mia cara, rinunciano a risolvere il problema della vita e si accontentano di riempire la vita pratica di distrazioni e divertimenti. Ma in questo modo non escludono l’infelicità perché questo rallegrarsi nella distrazione viene dal di fuori, da cose estranee a noi, e perciò da questo dipende e può essere turbato dal mancare di queste cose o dal loro mutare che rende inevitabile il dispiacere. La sola cosa che li consoli delle loro miserie è il divertimento, e tuttavia proprio questo è la più grande di esse. Perché proprio questo impedisce loro di pensare a loro stessi, e li conduce insensibilmente a perdizione. Senza questo si annoierebbero, e la noia li spingerebbe a cercare un mezzo più solido per uscirne. Ma il divertimento li dilette, e li fa arrivare alla morte insensibilmente.”
“In pratica il divertimento fa correre gli uomini verso il precipizio, senza preoccupazioni, dopo aver messo loro davanti un ostacolo per impedirgli di vedere. E così?”
“Sì, è proprio così!Tutto questo perché niente è insopportabile all’uomo come l’essere in pieno riposo, senza passioni, senza da fare, senza divertimento. Egli sente allora e solo allora tutto il suo niente, il suo abbandono, la sua insufficienza, la sua dipendenza, la sua impotenza, il suo vuoto interiore. Immediatamente uscirà allora dal fondo della sua anima, la disperazione, il cruccio e soprattutto la noia, che è la rivelazione dell’insufficienza dell’uomo a se steso e della sua strutturale miseria. Il pregio fondamentale di tutte le occupazioni risiede proprio nel distrarre l’uomo dalla considerazione di sé e della sua condizione. Ecco spiegato il gioco, la guerra e tutto il resto.”
“Per lei, quindi, l’uomo non cerca i pericoli della guerra e la fatica degli impieghi, ma ricerca il trambusto che lo distoglie dal pensare a quella condizione o lo distrae. Per cui l’uomo non cerca mai le cose, non vive mai nel presente, ma in attesa del futuro.”
“Noi non ci atteniamo mai al presente. Noi anticipiamo l’avvenire come troppo lento a venire, come per affrettarne il corso; o richiamiamo il passato per fermarlo come troppo veloce:così imprudenti, che vaghiamo nei tempi che non sono nostri e non pensiamo al solo che ci appartiene; e così vani, che pensiamo a quello che non è più, e lasciamo senza rifletterci il solo che sussiste. È che il presente, l’ordinario, ci ferisce. Noi ce lo togliamo dagli occhi perché ci affligge. Esamini un attimo i suoi pensieri. Li troverà tutti occupati a pensare all’avvenire, che sia vicino, prossimo oppure remoto. Il presente non è mai il nostro fine, il passato ed il presente sono i nostri mezzi, solo l’avvenire è il nostro fine. Così noi non viviamo mai, ma speriamo di vivere, e sempre preparandoci ad essere felici, è inevitabile che non lo siamo mai.”
“Non riusciamo proprio a mettere in atto il carpe diem oraziano!”
“Lei…conosce Orazio?!”
“Non si faccia trarre in inganno dalle apparenze, spesso sono effimere.”
“Effimere…le apparenze?!”
“Sì, perché durano poco. Dopo che si conosce una persona ciò che prima era apparenza scompare per divenire essenza.”
“E lo sa perché siamo più propensi a lasciarci ingannare dalle cose effimere? Noi pensiamo perché sono tali cioè brevi : la brevità è uno stimolo a goderne. Ma in realtà noi ci lasciamo attrarre dalle cose effimere perché ne stendiamo infinitamente, nella fantasia, la durata. Se noi pensassimo di avere otto giorni soltanto di vita, penseremo ad utilizzarli più seriamente: e allora perché non utilizzare bene ogni giorno? Ogni giorno può essere l’ultimo. E poi,se vanno utilizzati bene otto giorni perché non tutti?”
“Se sta rivolgendo queste domande a me, è caduto male, sono la persona meno adatta a risponderle.”
“Perché?”
“ Bè, perché io in realtà la penso come lei, e cerco di fare quante cose posso in una giornata, per non lasciare niente di incompleto e di non fatto. Ma quando la sera rifletto sulla giornata mi accorgo di non essere ancora pronta alla morte, di avere bisogno di ancora qualche ora, e mi sento vuota ed inutile. Lei piuttosto se dovesse morire domani, avrebbe qualche rimpianto o penserebbe di aver speso bene i suoi 33 anni?”
“Lei ha messo il dito nella piaga. Purtroppo ho un rimpianto, un solo rimpianto, il matrimonio.”
“Il matrimonio? Non ci avrei mai pensato:lei che rimpiange di non essersi sposato. Era innamorato?”
“Sì, ero innamorato.”
“Lei era italiana,non è vero?”
“Ma allora lei sa già tutto di me.”
“No, si sbaglia. Ho solo tirato ad indovinare e mi ha aiutato il purtroppo di prima, quando mi ha detto che conosce l’italiano.”
“Acuta!”
“Forse, ma sicuramente attenta. Ma non cambi discorso:si diceva che era innamorato. Cos’è l’amore per lei e come lo definirebbe?”
“Non so cosa sia, né come definirlo so però quali ne siano le cause e le conseguenze. La causa come dice Corbeille è <> e gli effetti sono spaventosi. Questo non so che, così piccolo che non si può riconoscere, ha sconvolto, sconvolge e sconvolgerà tutta la terra, i sovrani, gli eserciti, il mondo intero. Ad esempio il naso di Cleopatra: se fosse stato più corto, tutta la faccia della terra sarebbe cambiata.”
“Oh, sono già le sei! Come passa il tempo quando si è in buona compagnia.”
“C’è qualche problema?”
“No, assolutamente, è soltanto che le vorrei chiedere tante di quelle cose che probabilmente, anzi, sicuramente non ce la faccio per tutte. Tra due ore devo andare via.”
“Lo vede sta di nuovo pensando al futuro.”
“Touche.”
“Badi al presente, chieda, mia piccola amica, e non perda altro tempo prezioso.”
“Va bene, mi scusi. Lei è un matematico, ed avrà sicuramente ammirato la precisione del metodo geometrico, che ne pensa allora del suo collega, concittadino, contemporaneo, Renato Descartes?”
“Bè, Descartes ha fatto un solo errore, nella sua filosofia, non nella sua matematica, quello cioè di poter pensare di adattare la precisione del metodo geometrico ai fatti umani. Studiando l’anima umana sono rimasto colpito dall’impossibilità di esaurire la simultaneità dei problemi umani con la lentezza del ragionamento, che li isola uno per uno e giunge alla soluzione di uno solo quando ha dimenticato l’impressione viva di quello precedente: tali impressioni sentimentali si accumulano però nell’anima e quindi non è arbitrario fondarsi su di esse anche quando non resta in mente il ragionamento esplicito. Il sentimento di cui parlo non è infatti istinto, bensì la traccia sentimentale rimasta nell’anima in seguito ad una passata attività di pensiero, non più attualmente esplicita. Così quelli che sono abituati a giudicare col sentimento non capiscono nulla in fatto di ragionamento, ma vogliono subito penetrare con un solo sguardo, e non sono abituati a ricercare i principi. Gli altri, come Descartes, al contrario, che sono abituati a ragionare per principi, non capiscono nulla in fatto di sentimenti, cercandovi principi isolati e non potendo abbracciare tutto con un solo sguardo.”
“Ma che differenza c’è tra la mentalità intuitiva e quella geometrica?”
“Nell’una i principi sono evidenti, ma lontani dall’uso comune; talchè, se manca l’abitudine, si fa fatica a voltare lo sguardo da quella parte; ma per poco che lo si volti, allora si vedono i principi perfettamente; e bisognerebbe avere la mente totalmente falsata per ragionare male su principi così tangibili che è quasi impossibile che sfuggano alla vista. Nella mentalità intuitiva invece i principi sono nell’uso comune e davanti agli occhi di tutti. Non è il caso di voltare lo sguardo né di farsi violenza, basta avere buona vista; bisogna però averla buona i principi infatti sono così legati e in così gran numero, che è quasi impossibile che non ne sfugga qualcuno; ma l’omissione di un principio conduce all’errore; perciò bisogna avere la vista ben netta per vedere tutti i principi e poi la mente ben equilibrata per non ragionare storto sui principi conosciuti. Tutti i geometri sarebbero dunque intuitivi se avessero la vista buona, poiché essi ragionano abbastanza bene sui principi che conoscono; e gli intuitivi sarebbero geometri se potessero piegare il loro sguardo ai principi inconsueti della geometria. Chiaro?”
“Sì, certo! Ma mi dica l’uomo finito ed infimo di fronte all’universo, potendo solo conoscere mediante la sua finitezza , non può conoscere Dio che è infinito. Infatti non si può sapere, si dice, quid sit Deus, benché si arrivi a sapere quia est. Lei da religioso quale è come spiega l’esistenza di Dio?”
“Dio o c’è o non c’è, non rimane che scommettere tra le due eventualità ugualmente probabili. Se c’è, non curandocene, ci danniamo eternamente; se non c’è, anche facendo vita religiosa e rinunciando ad alcuni piaceri, non perdiamo granchè poiché brevi ed inconsistenti sono i piaceri del mondo, specialmente se siano paragonati all’eventualità di una vita eterna felice. Bisogna quindi scommettere per l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima.”
“Ha parlato di anima, a questo proposito il razionalismo platonico identifica l’uomo come puro spirito, pura anima, incarcerata accidentalmente in un corpo che gli rimane estraneo, ma essenziale. Invece, secondo il materialismo l’uomo si riduce a semplice animale. Lei dove colloca il suo uomo?”
“L’uomo non è né angelo né bestia. È pericoloso però mostrargli quanto sia uguale alle bestie, senza mostrargli la sua vicinanza ad essere angelo, perché allora si avvilirebbe e perderebbe ogni impegno morale. Ed è anche pericoloso mostrargli la sua vicinanza ad essere angelo senza mostrargli quanto sia uguale alle bestie, perché insuperbirebbe e crederebbe inutile ogni impegno morale. È utile però mostrargli l’una e l’altra cosa. Ecco perché se si esalta io lo deprimo, se si deprime io lo esalto; e lo contraddico sempre finchè non comprenda che è un mostro incomprensibile.”
“Ma questo mostro incomprensibile, avrà pure qualche pregio.”
“Vede, l’uomo è una canna, la più debole per natura, ma è una canna che pensa. Per schiacciarla non c’è bisogno che si armi l’universo intero. Un vapore, una goccia d’acqua bastano per ucciderlo. Ma quand’anche l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe tuttavia più nobile di ciò che lo uccide, perché sa che muore; mentre l’universo che è più potente di lui non lo sa.”
“Grazie, mi ha fatto veramente piacere poter parlare con lei, ma purtroppo il tempo a mia disposizione è finito. Devo andare.”
“Anche a me ha fatto piacere poter scambiare quattro chiacchiere con una ragazza sveglia come lei…madamoiselle?..”
“Oh, il mio nome non ha importanza. Qualcuno dirà che la rosa anche se non si chiamasse rosa avrebbe lo stesso profumo e la stessa bellezza.”
“Anche questa volta ha ragione. Jacques? Accompagni la signorina alla porta. Allora arrivederci, mia piccola amica.”
“Addio.”
Lasciai casa Pascal con triste rammarico e feci appena in tenpo a raggiungere il luogo dell’appuntamento alle otto precise e poi…il buio ed il silenzio più assoluto…si ricominciava!
Questa fu l’ultima cosa che ricordo, poi mi svegliai nello studio, china sul libro di filosofia, stavo studiando Pascal. Era stato tutto un sogno, però che bel sogno!

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